Il ministero della suprema felicità di Arundhati Roy

Gli stranieri vedono solo ciò che vogliono vedere.

In una fredda notte di gennaio, a Shajahanabad, la citta murata di Delhi, Jahanara Begum da alla luce il suo quarto figlio. La levatrice le dice che, finalmente, è nato un maschio. Jahanara è felice. L’indomani, però, scopre che quel suo bambino è maschio e femmina insieme. In un paese dove ogni realtà è maschile o femminile, uomo o donna, il suo bambino è uno hijra.

Jahanara decide di nascondere la natura transgender del bambino: forse col tempo la parte femminile si rimarginerà. Ma passano gli anni, e Aftab diventa l’oggetto delle risatine e delle beffe degli altri bambini: È una lei. Non è nè un lui nè una lei. È un lui e una lei! Jahanara non può più tacere.

Rivelata la verità al marito, è ad uno specialista di Nuova Delhi che si rivolgono: possiamo intervenire chirurgicamente e chiudere l’apertura femminile, ma difficilmente certe «tendenze hijra» scompariranno, dice loro il dottor Ghulam Nabi.

Aftab non sa di cosa parlano, né che cosa sta succedendo. Sa solo che adesso suo padre sta alzato fino a tardi per raccontargli degli antenati guerrieri e del loro valore in battaglia. I suoi pensieri, però, sono altrove. Stamattina ha visto una donna alta, dai fianchi sottili, con un rossetto vivace, un paio di sandali dorati col tacco alto e un salwar kameez di lucida seta verde. Non ha mai visto nessuno come lei. Da quando l’ha vista, non desidera che essere lei.

Incuriosito, comincia ad avvicinarsi al Khwabgah. Aftab non lo sa, ma quella è proprio la casa degli hijra e presto diventerà anche la sua casa, sarà iniziato alle regole e ai rituali della comunità e prenderà il nome di Anjum.

Il ministero della suprema felicità recensione

Il ministero della suprema felicità di Arundhati Roy comincia così, raccontando la storia di Anjum, dalla quale si dipanano altre storie, ma che sono tutte il tramite per raccontare dell’India e delle sue contraddizioni.

Non ho letto Il Dio delle piccole cose (primo romanzo della scrittrice), né ho avuto modo di seguire Roy e tanto meno le vicende dell’India, perciò questo romanzo è stato un vero e proprio tsunami. Un complesso compendio di vent’anni di India, tra politica interna ed estera.

C’è la nazione delle disparità sociali, dove povertà e tecnologia, progresso e superstizione  si fondono brutalmente: bambini abbandonati per le vie (a migliaia), eroinomani e senza tetto che affollano i cimiteri (che però hanno cellulari d’ultima generazione!), traffici illegali di organi. Medici indù che (ancora oggi) si rifiutano di visitare le caste inferiori, per paura di essere contaminati. Persino le autopsie sono fuori discussione. E allora chi è che le fa? Gli addetti alle pulizie, guidati a debita distanza dai suddetti medici.

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Poi c’è l’india che punta a diventare la nuova superpotenza più amata del mondo: si costruiscono dighe per illuminare le città, si trivellano le montagne, si abbattono le foreste, ma lontano dalle luci e dalle pubblicità utopistiche, si evacuano villaggi e città. Milioni di poveri ed accattoni radunati e rinchiusi prima di essere spediti fuori città a scaglioni: “Chi non può permettersi di vivere in una metropoli non dovrebbe venirci“. Quanti si ribellano scompaiono nel nulla, e lì, dove c’erano baracche e quartieri abusivi, spuntano piccoli condomini di lusso.

Il ministero della suprema felicità recensione

E poi c’è la religione, usata ancora una volta come mezzo per dividere e per giustificare i mezzi.

Così, ecco che l’attacco alle torri gemelle diventa una manna per quell’India che vuole dichiararsi una nazione indù. In fretta e furia viene approvata una nuova legge antiterrorismo, come misura preventiva dicono. Ma in realtà diventa il la a veri e propri rastrellamenti. Le prigioni si riempiono di giovani islamici, trattenuti per mesi in stato d’arresto senza processo. Le moschee vengono demolite e distrutte; bande armate di spade e tridenti partono alla volta di case, aziende e negozi di proprietà musulmana; gli attentati contro i musulmani vengono etichettati come meri incidenti.

Così, ecco che si acuisce l’attrito con quel Pakistan che si è dichiarato nazione musulmana. Ed ecco che a rimetterci è, ancora una volta, il Kashmir (per lo più musulmano), che diventa una volta di più terra di nessuno e di tutti. Se lo contendono India, Pakistan e Cina; lo dilaniano le tante versioni dell’Islam (naturalmente, tutte “autentiche”); la jihad ne seduce la gioventù povera e di bassa casta. Si parla di sessantottomila morti e di diecimila scomparsi reclamati a gran voce da madri, sorelle, mogli, e intanto i cimiteri si diffondono come i parcheggi multi-piano delle città in espansione.

Quella di Arundhati Roy è una prosa fredda e tagliente, senza mezzi terminiImpossibile restare indifferenti di fronte ad un romanzo politico di questa portata. E, purtroppo, mestamente, girando l’ultima pagina non si può che darle ragione: gli stranieri vedono solo ciò che vogliono vedere.

Il ministero della suprema felicità recensione
Il ministero della suprema felicità di Arundhati Roy. 
Guanda (2017);
ISBN9788823518148, pp. 496;
Prezzo: 20,00€;
Titolo originale: The Ministry of Utmost Happiness

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