Autobiografia del cavallo di Buffalo Bill di Mark Twain

Autobiografia del cavallo di Buffalo Bill
Mark Twain | Mattioli 1885 | 2020 | p. 108 | ISBN 9788862617437 | € 10,00 | Titolo Originale: A Horse’s Tale

Nel 1906, l’attrice newyorkese Minnie Maddern Fiske, notissima animalista del suo tempo, chiese sostegno a Mark Twain nella sua lotta contro le corride. L’attrice, nominata due volte come una delle dodici più grandi donne americane viventi del suo tempo, domandò all’autore di scrivere una storia sulla stessa linea di A Dog’s Tale (dove Twain si schierava contro la vivisezione). Twain rispose con A Horse’s Tale, ossia Storia di un cavallo.
Naturalmente, Twain mica sceglie di raccontare la storia di un cavallo qualsiasi. No, il protagonista è

[…] una meraviglia di cavallo, con una reputazione che riluce come la sua pelle di seta“:

Soldier Boy, il cavallo nero di Buffalo Bill. (Da qui il titolo Autobiografia del cavallo di Buffalo Bill scelto da Mattioli 1885) In un immaginario avamposto di frontiera, cos’altro ancora riserva la vita (o meglio, l’uomo) ad un cavallo che ha dato così tanto al “suo” Paese?

Presentato come una favola comica, a me, sinceramente, questo racconto non solo non ha fatto ridere, ma è anche stato una lettura faticosa. Ho fatto davvero molta fatica a trovare quell’ironia, quel sarcasmo, quella spietata lucidità che ho sempre apprezzato in Twain.

I capitoletti si alternano sconnessi gli uni dagli altri, come il farneticare il un ubriaco che salta da un soggetto all’altro senza un filo logico. Poi si alternano più voci:. Un momento parla Soldier Boy, quello successivo altri cavalli, il momento dopo ancora è il tal comandante che parla dei soldati all’avamposto, poi segue uno scambio di corrispondenza tra altre persone. E poi c’è la piccola Cathy che, con i suoi sei anni ed una personalità dirompente, in poche ore riduce con gli occhi a cuore l’intero avamposto e azzerbina qualsiasi cosa respiri e cammini.

Insomma, c’è una gran confusione. Se non fosse per il capitolo finale – dove, invece, la maestria di Twain rifulge in tutto il suo splendore – il libro lascerebbe un gran punto interrogativo.

La causa di questo Twain così oscuro (e, forse, un po’ smarrito)? La morte della figlia Susi nel 1896 a causa di una meningite. Mark Twain ne rimase distrutto, tanto da non riuscire più a vivere nella sua casa ad Hartford e trasferirsi altrove. Il lutto lo segnò a tal punto da influenzarne anche la scrittura.

Autobiografia del cavallo di Buffalo Bill
Susy Twain

Tenuto conto di questo, si riesce a guardare a Autobiografia del cavallo di Buffalo Bill sotto un’altra luce. Come sottolineato nella bella prefazione di Mattioli 1885, con il personaggio della piccola Cathy Alison, Twain si ispira proprio alla figlia Susy (pare che inviò persino una foto di Susy all’illustratore, così che la usasse per disegnare Cathy).
Ecco, allora, che, in queste poche pagine, si coglie tutto l’amore e il dolore straziante di un padre per la perdita della propria figlia. E questo è molto toccante. Questo, unito al capitolo finale dove riesce a trasmettere tutto l’orrore e la crudeltà della corrida, ma anche dell’uomo in generale verso gli animali, ammorbidisce il giudizio complessivo sul racconto.

E, in fondo in fondo, riesce anche a strappare un mezzo sorriso. Perché, pensandoci bene, proprio com’è nel suo stile, alla fine Twain coglie due piccioni con una fava: un tributo alla figlia e il racconto-denuncia chiestogli da Minnie Maddern Fiske.

Parliamone!
Ho sempre adorato Mark Twain. Credo che Tom Sawyer e Huckleberry Finn siano i miei preferiti tra i suoi romanzi, anche ne ho adorati tanti. A voi piace Mark Twain? Quale dei suoi romanzi avete proprio adorato? Avete letto questo racconto? Cosa ne pensate? Che cosa state leggendo in questo momento? Fatemelo sapere! 🤗
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