‘La verità sul caso Harry Quebert’ di Joël Dicker

Sabato 30 agosto 1975. Deborah Cooper chiama la centrale di polizia: ha visto un uomo inseguire ragazza nella foresta…

La verità sul caso Harry Quebert recensioni
La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker
Bompiani
22 maggio 2013, pp. 779
ISBN: 9788845273285
€ 9.90
Titolo originale: La Vérité sur l’affaire Harry Quebert

Sabato 30 agosto 1975. Deborah Cooper chiama la centrale di polizia: ha visto un uomo inseguire ragazza nella foresta. La sua telefonata dà inizio alla vicenda che turba la cittadina di Aurora, nel New Hampshire: quel giorno, infatti, una ragazza del posto di 15 anni, Nola Kellergan, scompare nel nulla. Trentatré anni dopo i resti della ragazza vengono ritrovati nel giardino di Harry Quebert, scrittore di successo ed una delle più grandi personalità dell’intellighenzia americana. L’uomo viene accusato per sequestro di persona e duplice omicidio volontario (anche Deborah Cooper muore quel sabato del 1975) e arrestato. In suo soccorso corre il baldo Marcus Goldman, suo ex-studente, amico e neo scrittore di successo. Sarà lui a investigare sul caso e venire a capo del mistero sulla morte di Nola Kellergan.

Su, Goldman, non mi costringa a insegnarle il mestiere: chi se lo comprerebbe un libro se non ci fosse qualche scenetta hard tra il vegliarlo e la bambina di 7 anni? È questo che vuole il pubblico! Anche se il libro fa schifo, ne venderemo a tonnellate. E questo è ciò che ci interessa, no?

Eh sì, questo libro è orrendo, ma ha venduto a tonnellate. Chissene se è una boiata pazzesca. Non l’ho buttato nel secchio, perché devo restituirlo in biblioteca.

Raramente mi è capitato di leggere un tale concentrato di stupidaggini. Dalla prima alla settecentosettantanovesima pagina (779 pagine!!!). Visto che non so da dove cominciare, ripiegherò su un elenco:

  • Il superfluo. Se il libro s’intitola La verità sul caso Harry Quebert, non capisco perché devo sorbirmi almeno 250 pagine di “Ciao, sono Marcus Goldman, “il formidabile”, ora vi racconto per filo e per segno la mia esistenza. Potevo andare ad Harvard, ma c’era troppa competizione: meglio ripiegare su un’università modesta, così ho potuto continuare a fare il pavone. Sì, ho scritto un romanzo di successo, ho l’America ai miei piedi, tutti mi osannano e aspettano l’uscita del mio prossimo libro. Adesso vi racconto per bene: della stesura di quel libro e anche del prossimo. Tanto, che c’avete da fà?” Il libro è un concentrato di parti del tutto irrilevanti ai fini della trama, tanto che sarebbe potuto essere lungo la metà.

  • Marcus Goldman. Maschilista, meschino, egocentrico, arrogante e supponente. Vi pare credibile che un caso irrisolto da trentanni venga risolto dall’ultimo cretino che si assurge ad investigatore improvvisato? Lui arriva ad Aurora, si ficca in casa dell’imputato accusato dell’omicidio (perché si sono scordati di mettere i sigilli, quindi non è illegale), gira come se niente fosse per il giardino (che, invece, i sigilli li ha) e cade persino nella fossa dove hanno trovato il cadavere e nessuno gli dice niente. Si permette persino di dire a chi investiga di mestiere: “sto indagando anch’io”. Se ne va in giro a interrogare i cittadini di Aurora e pretende persino che la polizia lo tenga di conto e gli racconti quello che scopre. Ma è ancora più ridicolo che la gente e la polizia gli rispondano (e anche con una certa solerzia). 

E ancora:
    • Le date. In questo romanzo hanno tutti un’eccezionale memoria per le date. E in un discreto numero di casi persino per l’ora. Io faccio fatica a mettere a fuoco la settimana scorsa, questi si ricordano data ed ora di cose che hanno fatto trentanni prima. Mi pare credibile, no?

    • Aurora. Sarà pure una tranquilla cittadina dove gli abitanti non chiudono mai a chiave la porta, però c’è una concentrazione di psicopatici mica da ridere. A cominciare dalla stessa Nora Kellergan.

    • Il manoscritto. Uno crede che di un libro, contenuto in una sacca (che si presuppone non sia impermeabile), sotterrato in un giardino, soggetto a pioggia ed irrigazione, in trentanni sia rimasto ben poco, o quantomeno che sia illeggibile. E invece no: eccolo lì che ti sbuca fuori bello lindo e pinto, nuovo di zecca, come appena battuto a macchina. Non so voi, ma a certi miei libri d’università sono bastati pochi anni e l’umidità della cantina per assumere un aspetto raccapricciante.

    • La storia d’amore. Melensa e davvero poco plausibile. Due frasi e già avevo il latte alle ginocchia. Avrei preferito soffrire con due Harmony, subito.

    • Il sesso. Anche in questo caso: ma l’utilità ai fini della trama? Non pervenuta. Inoltre, alla volgarità della parola, vanno aggiunte le scenette da quattro soldi da cinquanta sfumature di un colore qualsiasi. Non capisco questa recente esigenza di sesso esplicito degli ultimi tempi. Più che aggiungere, toglie valore al libro stesso. Mi viene spontaneo fare il confronto con Gli anni della leggerezza Elizabeth Jane Howard, che sto leggendo in questi giorni: c’è un sacco di sesso, ma affrontato in maniera elegante e, soprattutto, plausibile, reale. Non è affatto fastidioso. E ha un senso all’interno della trama.

    Io so che i gialli (moderni) non fanno per me. Non riusciamo proprio ad andare d’accordo. Eppure, di tanto in tanto ritento, sperando di potermi ricredere. Invece no. Che ci posso fare. D’altronde, nessuno è come Sherlock.

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